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LA TRISTE FAVOLA DEL NATALE : l'omicidio della piccola reginetta di bellezza JonBenét Ramsey (a cura di Francesca Iervolino)


Il Natale, con la sua magia e il suo incanto, rappresenta senza dubbio la festività preferita da grandi e piccini. L’allegria, le luci, i dolci e i regali portati da Babbo Natale fanno da cornice a questi giorni di festa e gioia, caratterizzati da riunioni familiari e da un generale clima di serenità e speranza. Non sempre però il Natale regala momenti di felicità e gioia perché, come spesso accade,  anche nelle favole più belle si intrecciano storie tragiche che trasformano le ricorrenze natalizie in momenti terribili, da dimenticare. Quella che vi stiamo per raccontare è proprio una di queste storie: una bambina bellissima,di una bellezza quasi dolorosa, il giorno di Natale viene trovata morta nella cantina della sua casa. Una famiglia distrutta, sulla quale pende un terribile sospetto. Un omicidio senza colpevole, una storia la cui fine non è mai stata scritta e una verità che non è mai stata scoperta. Ma andiamo con ordine, partendo dalla fine che in realtà è l’inizio di questa tremenda storia.

JonBenèt Ramsey nacque ad Atlanta (USA) il 6 agosto 1990 da una famiglia molto benestante: suo padre John era un facoltoso uomo d’affari e sua madre Patricia, ex reginetta di bellezza ed ex Miss Virginia, era una giornalista. JonBenèt aveva anche un fratello più grande,  Burke. La famiglia Ramsey rappresentava dunque il prototipo della famiglia americana perfetta: rispettata, amata da tutti e ben voluta dalla comunità di cui faceva parte. La piccola JonBenèt sin dalla tenera età di 6 anni, grazie alle conoscenze della madre ma anche e soprattutto grazie alla sua straordinaria e precoce bellezza, partecipa a numerosi concorsi e spettacoli divenendo ben presto una delle reginette di bellezza americane più famose e amate. Questo apparente mondo dorato fatto di viaggi, abiti luccicanti, sfilate e concorsi di bellezza tuttavia è destinato a crollare tragicamente la notte del 25 dicembre 1996.

jonbenetramsey

L'OMICIDIO

La mattina del 26 dicembre 1996 Patricia Ramsey trovò in casa, sulle scale che collegano i piani superiori alla cucina, una lunga lettera di riscatto nella quale una non precisata fazione straniera dichiarava di aver rapito la piccola JonBenèt e ordinava alla famiglia Ramsey di preparare 118.000 mila dollari come riscatto per il rapimento della piccola. Immediatamente la famiglia allertò il 911 e subito partirono le indagini sul presunto rapimento; intorno alle 13:00 dello stesso giorno il detective della polizia Linda Arndt chiese a John Ramsey di poter ispezionare la casa in cerca di qualche indizio o traccia che potesse aiutare le indagini. L’ispezione iniziò dal seminterrato e proseguì per il bagno, una stanza dedicata agli hobby e altre camere adibite alla lavanderia. Da ultima fu ispezionata anche la cantina di casa Ramsey ed è qui che i detective fecero una scoperta terribile e agghiacciante: sul pavimento, avvolto in una copertina bianca, giaceva il corpo esanime della piccola JonBenèt. La bambina indossava ancora il pigiama ed era riversa supina, con le braccia verso l'alto al di sopra della testa. La bocca della bambina era coperta da un pezzetto di nastro adesivo mentre Il collo e i polsi erano legati con una corda di nylon, lasciata molto allentata. Il manico rotto di un pennello lungo 10 cm, appartenente a Patsy Ramsey, era stato usato per avvolgervi attorno un capo della corda di nylon per formare una garrota.  John Ramsey in preda alla disperazione e al panico, rimosse il nastro adesivo dalla bocca della bambina e la trasportò al piano superiore, nel vano tentativo di rianimarla. Constatatone il decesso si decise di spostare ancora una volta il corpo della piccola JonBenèt il quale fu adagiato nel soggiorno, accanto all’albero di Natale ormai spento. Sin dall’inizio le indagini sull’efferato omicidio furono condotte male e in maniera del tutto grossolana poiché, dal momento della scoperta del cadavere della bambina, la casa fu invasa da familiari, poliziotti e vicini e solo alle 13:50 l’abitazione fu dichiarata scena del crimine e posta sotto sequestro. Il via vai di gente, i continui spostamenti del corpo della piccola vittima e la confusione generale che regnava quel mattino del 26 dicembre pregiudicarono irrimediabilmente la scena del crimine e la ricostruzione dell’omicidio.

L'AUTOPSIA

Gli esami autoptici effettuati sul corpo di JonBenèt furono eseguiti il giorno dopo la scoperta dell’omicidio e i risultati furono agghiaccianti: si scoprì che la bambina era morta per strangolamento e che presentava una profonda frattura del cranio di circa 20 cm, causata probabilmente da un corpo contundente smussato. Si scoprì che la garrota (creta da una persona che aveva esperienza in quetso genere di nodi) era stata ricavata da un pezzo di corda  avvolta attorno al manico rotto di un pennello, appartenente alla madre della bambina. Si scoprì inoltre che lo strangolamento era avvenuto da dietro. Furono trovate delle abrasioni alla parte posteriore del dorso e alle gambe, che vennero attribuite a un probabile trascinamento del corpo, circostanza che fa pensare che la piccola non fosse stata uccisa nella cantina ma altrove. Il nastro adesivo con cui JonBenèt era stata imbavagliata appariva intonso, suggerendo che fosse stato applicato post-mortem. Anche se non c’erano prove evidenti di violenza sessuale questa non poteva tuttavia essere esclusa poiché erano emersi durante l’autopsia segni ambigui di probabili abusi mai del tutto chiariti. La causa ufficiale della morte fu asfissia, causata dallo strangolamento e associata ad un trauma cranico cerebrale.

I SOSPETTI

Che cosa successe davvero quel Natale del ‘96? E, cosa ancora più importante,  chi si era macchiato di quel tremendo omicidio? Sin dall’inizio delle indagini i sospetti caddero sul nucleo familiare Ramsey, in particolare su Patricia, la madre della piccola. La polizia statunitense difatti per molto tempo sostenne l'ipotesi che Patsy Ramsey, in un impeto di rabbia dopo che la bimba aveva bagnato nuovamente il letto (JoBenet soffriva infatti di enuresi notturna), l'avesse ferita gravemente la notte stessa e l’avesse poi uccisa in un secondo momento, simulando il rapimento con la complicità del marito. A suffragare questa ipotesi vi era un elemento ulteriore: nel novembre 1997 gli esperti grafologi, in seguito a diverse perizie calligrafiche, affermarono che era stata proprio Patsy Ramsey a scrivere la richiesta di riscatto. Un'altra possibile ipotesi investigativa è che John Ramsey avesse abusato sessualmente di sua figlia, uccidendola per coprire il misfatto. Per un certo periodo fu sospettato dell’assassinio anche Burke, fratello di JoBennet (che all’epoca dei fatti aveva 9 anni), in quanto si sospettava che avesse ucciso la sorellina per motivi di gelosia. Tutti questi sospetti, caduti nel vuoto per mancanze di prove concrete, ruotavano intorno a una serie di constatazioni: l’omicidio era avvenuto in casa, non c’erano segni di effrazione su nessuna delle porte o finestre e inoltre alcuni vicini dichiararono di aver sentito tra la notte del 25 e 26 dicembre un urlo di bambino, circostanza che i genitori di JonBenèt hanno sempre negato tassativamente. L’unica certezza in questa terribile storia è che le indagini furono svolte con una imperizia quasi imbarazzante da parte della polizia locale tanto che, a causa delle prove contraddittorie, il Grand Jury non riuscì mai a incriminare nè i Ramsey nè chiunque altro per l'omicidio di JonBenét.

L'EPILOGO

Il giallo sulla morte della baby modella rimane tuttora irrisolto e rappresenta uno dei “cold case” americani più famosi. I principali indiziati erano e rimangono tuttora i genitori della bambina (Patricia Ramsey è deceduta per un cancro alle ovaie). Nell'ottobre del  2010 il caso è stato riaperto a seguito di una nuova indagine e 3 anni dopo venne rivelato che nel 1999 un Gran Jury del Colorado aveva raccolto prove sufficienti per incriminare John e Patricia Ramsey con l'accusa di abuso di minore che avrebbe provocato la morte della bambina. Tuttavia l'allora Procuratore Distrettuale Alex Hunter decise di non firmare l'atto d'accusa, sostenendo che le prove erano insufficienti e secretando gli atti relativi alle accuse. Nel settembre 2013 un Comitato di Cronisti per la libertà di stampa intentò una causa per costringere il Procuratore Distrettuale Stan Garnett a rendere pubblici gli atti d'accusa del 1999 e così, a metà ottobre dello stesso anno, fu stabilito con una sentenza che tali atti dovessero essere resi di pubblico dominio. Fu così che il 25 ottobre 2013 i documenti secretati nel 1999 sono stati resi pubblici. Eccone uno stralcio:

« Tra il 25 dicembre e il 26 dicembre 1996 nella Contea di Boulder, Colorado, John Bennett Ramsey e Patricia Paugh Ramsey hanno illegalmente, consapevolmente e incautamente permesso che una bambina fosse coinvolta senza ragione in una situazione che minacciasse la sua salute o vita e che ha provocato la morte di JonBenét Ramsey, una bambina di età inferiore ai sedici anni. Hanno fornito assistenza ad una persona, con l'intento di ostacolare, ritardare e impedire la cattura, la detenzione, l'accusa, la condanna e la punizione di tale individuo per la commissione di un reato. Pur sapendo che questa persona si è macchiata dei reati di Omicidio di Primo Grado e Abuso di Minore con Conseguente Morte. »


IL PARERE DEL CRIMINOLOGO

Molto si è detto, ipotizzato e azzardato sul caso Ramsey ma ogni speculazione criminologica e investigativa non ha mai trovato terreno fertile. A tal proposito riportiamo alcune considerazioni fatte dal Dott. Fabio Delicato, psicologo e criminologo.

“Un primo spunto criminologico in questa vicenda è sicuramente inerente alla scena del crimine ed alla sua alterazione; in questo caso l’inesperienza dei primi soccorritori e delle forze di polizia ha permesso lo spostamento del corpo, inquinando così eventuali elementi importantissimi per una indagine tecnico-scientifica (sul nastro isolante sono state ritrovate le impronte del padre ma siccome è stato visto da tutti togliere con le sue mani il nastro non si è potuto stabilire se esse erano presenti anche prima di quel momento e quindi nel caso dedurre che fosse stato lui ad applicarlo sul corpicino della bimba). Inoltre la scena è stata letteralmente inondata di persone, tra soccorritori polizia e quant’altro andando a rendere molto difficoltosa l’attività di ricerca e repertamento tracce. Altro punto da affrontare è la differenza tra Strangolamento e Strozzamento; lo strozzamento si realizza esercitando, mediante una o due mani, una violenta costrizione del collo. Si associa anche un’azione compressiva sulle aree riflessogene del seno carotideo. Lo strangolamento invece prevede l’utilizzo di un laccio posto attorno al collo o di un altro mezzo equivalente cui è comunque applicata una forza agente, secondo un piano trasversale rispetto all’asse maggiore del collo. Una modalità “atipica” di strangolamento è quella di provocare la costrizione di un laccio attorno al collo mediata da un’asta o un bastone che, attorcigliando il laccio, determina la progressiva chiusura delle vie aeree: trattesi nel caso di specie della Garrota utilizzata per uccidere la bambina. Questo strumento era utilizzato per l'esecuzione della condanna capitale in Spagna fino agli anni Settanta del sec. XX e consiste in un palo al quale è fissato un cerchio di ferro che viene stretto mediante una manovella a vite intorno al collo del condannato fino a provocarne lo strangolamento."

Nonostante i sospetti, le prove, i documenti del Grand Jury e la riapertura delle indagini la verità sulla morte e l’omicidio della piccola JonBenèt Ramsey non è ancora emersa. La vita di una bambina, bellissima e innocente, è stata spezzata per sempre da un mostro senza volto e senza nome ancora a piede libero e che, probabilmente, non pagherà mai per il suo tremendo crimine. Di JonBenèt rimane solo il ricordo e qualche flebile speranza che un giorno la verità possa finalmente fiorire.


- Francesca Iervolino, Collaboratrice CRIMINISERIALI°