IL BIOLOGO FORENSE E L’ATTIVITA’ DI INVESTIGAZIONE SCIENTIFICA
AI SENSI DELLA LEGGE 397/2000 ( a cura di
E. D'Orio )
La Legge 397/2000 ha rivoluzionato l’impianto del sistema
processuale penale, trasformando l’intero impianto del processo in un
sistema di tipo accusatorio, ove il PM, nel ruolo dell’accusa, e l’avvocato
difensore sono in una condizione di parità, in cui entrambe le parti possono
esprimere le proprie ragioni e
queste verranno valutate da un giudice, inteso come persona terza ed
estranea al processo, il quale assume i fatti così come presentati in
contraddittorio e ne trae in maniera “super partes” le conclusioni.
Tale legge ha contorni innovativi anche perché permette le c.d. “indagini
difensive”, ossia permette all’avvocato del difensore di potersi avvalere di
un proprio team, composto di specialisti di diverse competenze, al fine di
indagare sull’evento criminoso oggetto di processo.
In più, gli atti del PM sono liberamente consultabili dall’avvocato della
difesa, ciò garantisce il tempo e le condizioni necessarie affinchè sia
costruita una corretta azione difensiva da parte del soggetto indagato.
In tale contesto, vista la ribalta
e la centralità a livello processuale che assume il DNA, nel team
difensivo sempre più correntemente sono presenti biologi forensi, i quali
espletano il proprio ruolo professionale andando a valutare quanto riportato
negli atti del PM (se si tratta della valutazione di un risultato genetico
dalla natura irripetibile); sono inoltre oggetto della valutazione del
biologo forense tutti quei passaggi e accertamenti tecnico-scientifici
effettuati sulla scena criminis dall’autorità giudiziaria. Infatti questo è
un concetto che mi preme sottolineare e rendere molto chiaro a tutti, il
risultato degli esami del DNA non è che l’ultimo dei prevenuti in ordine
cronologico, infatti i lavori di natura tecnico-scientifica iniziano proprio
dal lavoro sulla scena criminis, dalla fase dell’iniziale sopralluogo, alla
fase di repertamento, alle frequenti fasi di successivi sopralluoghi, sino
alle fasi di catena di custodia
del reperto da esaminare. Solo dopo che tutti questi eventi sono avvenuti,
la cui complessità sembra irrilevante (ma assicuro che non è così), il
materiale biologico giunge nei laboratori ( i quali anche loro devono avere
un’opportuna certificazione ISO, altrimenti i risultati che emetteranno non
saranno a fini forensi validi!) e solo ora si compie l’esame di tipo
genetico!
Mi preme sottolineare come, a livello processuale, dire che il DNA di un
soggetto indagato è presente sulla scena del crimine o sull’eventuale
vittima, non coincide mai con il dire che è il “DNA dell’offender”, infatti
va ben considerato che il DNA non dà mai informazioni di carattere temporale
certo, non indica mai il momento preciso della sua deposizione ove è stato
repertato, ma sicuramente è testimone che, in quel preciso luogo, la persona
cui appartiene quel DNA è transitata.
Discorso separato va fatto per la tanto famosa questione del “DNA touch”,
divenuto celebre nel caso di Meredith, in cui la presenza del DNA degli
indagati è stata dimostrata in processo attribuibile ad una contaminazione
accidentalmente provocata dagli operatori stessi della polizia giudiziaria
in fase di sopralluogo e repertamento! Ciò accende necessariamente i
riflettori di natura giurisprudenziale, nonché scientifica, sull’esame del
lavoro che si effettua sulla scena criminis, lavoro questo che è stretta
competenza del biologo forense.
Il fine ultimo della biologia forense non è unicamente quello di determinare
l’appartenenza di un DNA ad un soggetto, bensì anche quella di contribuire
alla valutazione della crimodinamica partendo dallo studio degli aspetti
prettamente biologici e scientifici che portano alla ricostruzione
dell’evento criminoso, “conditio sine qua non” di ogni processo!
L’Ordine Nazionale dei Biologi sta promuovendo, per
la categoria dei biologi forensi, la divulgazione e l’interazione con
giuristi e magistrati, in quanto è strettamente necessaria ed è
nell’interesse dei cittadini tutti, e del corretto corso della Giustizia,
che i processi aventi per oggetto prove di natura scientifica vengano
trattati e sottoposti all’esame di professionisti specifici, opportunamente
formati e qualificati, che sono di supporto sia ai team difensivi, sia ai
magistrati, dato che spesse volte siamo chiamati a rivestire il ruolo dei
periti.
La scienza offre oggi tecniche e metodologie,
che continuerà incessantemente ad innovare, volte alla “tutela” della prova scientifica, in quanto questa
deve essere un elemento di natura oggettiva, dimostrabile in maniera
inconfutabile in tutti i suoi passaggi.
L’ambito illustrato si distanzia nettamente da quanto illustrato in fiction
televisive (quali CSI ad esempio),
ma si pone come base necessaria per affrontare in modo corretto un ambito
che prevede necessariamente la partecipazione di molteplici figure
professionali per essere studiato e valutato in maniera adeguata.
Basti pensare che una singola scena del crimine, anche c.d. “semplice” con
sé prevede sempre l’interazione delle figure professionali quali i
criminologi, gli esperti in sopralluogo e repertamento, eventualmente gli
esperti in balistica, sempre gli esperti in ricostruzione crimodinamica, i
biologi forensi, i tossicologi forensi, i medici legali….e così via
discorrendo.In tale ambito multidisciplinare è opportuno, ai fini del corso
corretto della Giustizia e anche ai fini dell’esercitare in maniera adeguata
le indagini difensive, che ogni professionista si concentri su ciò che
unicamente compete la propria sfera professionale, senza mai sforare il
campo.
Sarà poi, in ultimo, determinante l’azione dell’avvocato penalista che dovrà
mettere insieme il puzzle di dati oggettivamente ottenuti e dovrà operare in
processo sulla base di questi.
Le tre locuzioni con cui porgo i saluti a tutti gli Avvocati e Magistrati
che leggeranno questo breve articolo sono: Cooperazione, professionalità e
identità di interessi!
Dott. Eugenio D’Orio
Biologo Forense